Per gli impatriati corsa alla residenza anagrafica entro il 31 dicembre

Con la trasmissione in Parlamento dello schema di decreto legislativo sulla fiscalità internazionale, attuativo di una serie di norme contenute nella L. 111/23 di riforma del sistema fiscale, vengono ufficializzate alcune importanti evoluzioni alle prospettate modifiche alla legislazione per i lavoratori impatriati.

La filosofia di fondo di queste modifiche, contenuta nell’art. 5 dello schema di decreto, rimane la medesima: di fatto, si tratta di un ritorno al passato, finalizzato a riportare le agevolazioni per questi soggetti a un alveo più ristretto, rappresentato dai lavoratori a maggior livello di specializzazione e qualificazione, a fronte di un regime attuale che invece agevola chiunque, qualificato o meno, decide di trasferire la propria residenza fiscale in Italia.

Rispetto al regime attuale, le nuove norme limitano il beneficio sotto i profili della percentuale di reddito detassata (50% contro l’attuale 70%, o 90% per i trasferimenti nel Mezzogiorno), dell’entità del reddito agevolato (con l’introduzione di un plafond di 600.000 euro), nonché dei requisiti richiesti di residenza pregressa (tre anni); viene altresì richiesto un periodo minimo di residenza italiana dopo l’impatrio di cinque anni, con l’evidente intento di disincentivare i fenomeni di impatriates regimes shopping, abbastanza comune per i neolaureati e, più in genere, la popolazione giovane.

La norma trasmessa al Parlamento conferma il principio generale per cui questa “stretta” viene prevista per coloro che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia dal 2024. Tuttavia, l’art. 5 comma 6 prevede un’apposita disciplina transitoria per cui è fatto salvo l’attuale e più favorevole regime per chi trasferisce la propria residenza anagrafica in Italia entro il 31 dicembre 2023 (ovvero, per i rapporti di lavoro sportivo, per chi stipula il relativo contratto entro tale data).

È quindi prevedibile, per le persone interessate, una corsa all’acquisizione della residenza anagrafica in un Comune italiano entro la fine dell’anno. In questo modo, la residenza fiscale sarebbe acquisita dal 2024, ma la persona potrebbe beneficiare del regime agevolativo con le vecchie regole, detassazione del 70% o del 90% in primis (ciò, pur se la norma non lo dice espressamente, solo dal 2024).

Lo schema di DLgs. trasmesso al Parlamento conferma poi nella sostanza le altre disposizioni già presenti nelle prime bozze diramate.
Concentrando l’attenzione sul Titolo I del provvedimento, l’art. 1 mantiene ferme le annunciate modifiche all’art.2 del TUIR sulla residenza delle persone fisiche, stabilendo che si considerano residenti le persone che, per la maggior parte del periodo d’imposta, hanno in Italia il domicilio o la residenza, ovvero sono ivi presenti. Queste disposizioni si applicano dal 1° gennaio 2024.

Con l’art. 2 si confermano, invece, le modifiche all’art. 73 del TUIR contenute nelle prime bozze in materia di residenza fiscale delle società e degli enti. Si mantiene quale primo criterio di collegamento quello della sede legale, sostituendo però la sede dell’amministrazione e l’oggetto sociale con:
– la sede di direzione effettiva, rappresentata dalla “continua e coordinata assunzione delle decisioni strategiche riguardanti la società o l’ente nel suo complesso”;
– la gestione ordinaria in via principale, rappresentata dal “continuo e coordinato compimento degli atti della gestione corrente riguardanti la società o l’ente nel suo complesso”.
Anche la nuova norma, al di là di alcune modifiche di coordinamento, mantiene ferma la presunzione di esterovestizione contenuta nell’art. 73 comma 5-bis del TUIR.